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«Sugli altari di San Francesco della Scarpa le opere di Luigi Presicce e Raffaele Quida decretano la definitiva sparizione dell'arte e la sua riduzione a simulacro. Nell'epoca della massima estetizzazione della realtà l'arte è tutto e niente. L'orgia del significato coincide con la perdita di senso di tutto, anche del valore stesso dell'arte. Ci troviamo di fronte a quello che Jean Baudrillard avrebbe definito: "un olocausto dei segni della pittura, delle forme e dei colori, un olocausto del mondo attraverso l'immagine". L'eclisse del senso non è senza conseguenze né per l'arte né per il mondo. Luigi Presicce lo aveva già messo in scena nel Castello di Acaya nel 2014 con la sua performance I Re del mondo sotto il cielo di terra, ispirata all'opera di Francisco Goya El Gigante. Ma è in questo piccolo eppure emblematico allestimento, curato da Carmelo Cipriani e Antonio Grulli, che la deriva dell'arte verso i territori del sacro diventa più evidente. L'artista si è definitivamente trasformato nell'officiante di una religione che ci chiede di credere prima di capire. Il suo gesto non è la rappresentazione del sacro ma il sacro stesso. L'atto creativo rifonda ogni volta il significato del mondo e dunque il mondo stesso. Un mondo che va abbracciato fideisticamente perché non può essere compreso. È superata persino l'alternativa Agostiniana tra il "credo ut intelligam" e a intelligo ut credam". Non c'è più nulla da capire. L'arte ci invita a credere prima di capire anzi per poter capire. Ma per nostra fortuna non tutto si esaurisce dentro questa prospettiva millenaristica. C'è anche un'arte scevra da qualsiasi retorica meta artistica che ci chiede di capire prima di credere.» (Da 'Sugli altari dell'Arte di Luigi De Luca')